martedì 31 marzo 2009

Amniocentesi: le 5 domande fondamentali


Dopo la gioia e l’emozione della notizia della gravidanza, la prima preoccupazione dei genitori è quella di sapere se il loro bambino sarà sano.

L’amniocentesi è una di quelle indagini parentali invasive che indagano la struttura del DNA per individuare eventuali disfunzioni che pregiudicheranno poi la vita del bambino.

Cosa?
Prima di effettuare l’esame vero e proprio la paziente sarà sottoposta a una ecografia per rivelare età del feto e quantità di liquido amniotico (le cosiddette “acque” che circondano il feto durante la gravidanza), dopodichè verranno prelevati circa 20 ml di liquido tramite una puntura nell’addome della mamma.

Solitamente non viene somministrata anestesia e la mamma può tornare a casa immediatamente, anche se i medici consigliano un periodo di 24-48 ore di controllo della temperatura corporea.
I rischi maggiori sono legati a una possibile infezione del liquido amniotico, una sua eccessiva perdita o, nei casi più gravi all’aborto (le percentuali sono comunque bassissime, l’amnioocentesi determina un aborto in un caso su 100-200).

Quando?

Secondo il periodo di gravidanza in cui viene effettuato si distinguono amniocentesi precoce (tra la 16° e la 18° settimana) o tardiva (dopo la 20° settimana).

Dove?
Il prelievo del liquido amniotico è un intervento invasivo e molto delicato, per questo manualità ed esperienza sono determinanti e da tenere in grande considerazione.
Dopo un serio consulto con il proprio medico curante, è importante cercare una struttura specializzata , pubblica o privata, per non incorrere in pericolosi inconvenienti.

Perché?
L'esame viene proposto per indagare eventuali anomalie cromosomiche a quelle pazienti che:

hanno superato i 35 anni (38 anni in Francia), soprattutto per i rischi collegati alla Trisomia 21 (sindrome di down). • hanno visto aumentare lo spessore della translucenza nucale • hanno individuato difetti fetali strutturali attraverso l’ecografia • hanno avuto già figli affetti da anomalia cromosomica • hanno genitori portatori di alterazioni cromosomiche • hanno contratto malattie infettive (citomegalovirus, parvovirus B19...) • hanno registrato infiammazioni dell’utero

Nell’amniocentesi i parametri considerati sono legati ai livelli di:
creatinina: riflette lo sviluppo e funzionalità del rene;
bilirubina: per segnalare anemie o incompatibilità di gruppi sanguinei;
lecitina/sfingomielina: questo rapporto indica lo sviluppo corretto dei polmoni e, soprattutto in caso di parti precoci, la capacità del bambino di poter respirare autonomamente.
• alcuni ormoni steroidei: a seconda del tipo di ormone si può valutare lo stato complessivo di sviluppo di feto o placenta.

Infine come già detto viene eseguito l’esame delle cellule sospese nel per indagini citogenetiche sulla struttura del DNA o per rilevare eventuali anomalie metaboliche ereditarie.

Chi?
L’invasività e i rischi, benché minimi, legati all’amniocentesi, lo rendono un esame fuori dalla routine, a differenza dell’ecografia, ma che deve essere preso in considerazione in base alle condizioni della madre.


Il rapporto medico-paziente è, come sempre, fondamentale.
Il medico dovrà, prima di tutto, informare correttamente la paziente su l’opportunità o meno di svolgere l’esame, illustrandone le modalità d’esecuzione, i rischi e i benefici, sia in generale, considerando le statistiche, sia, e soprattutto, valutando il caso specifico della singola paziente.
Dovrà poi aiutarla a superare alcuni luoghi comuni, come quelli legati all’età o ai rischi.

Dopo i 35 anni l’amniocentesi non è, comunque, obbligatoria e quelle legate alle percentuali di rischio, non valutabili in assoluto, ma solo caso per caso.

Sarà dunque ciascun medico in rapporto a ciascuna paziente a valutare come e dove effettuare l’esame, assicurando la massima assistenza prima e dopo l’esame stesso e indirizzando, laddove possibile, la paziente vero la struttura più idonea e sicura.

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