martedì 31 marzo 2009

Amniocentesi: le 5 domande fondamentali


Dopo la gioia e l’emozione della notizia della gravidanza, la prima preoccupazione dei genitori è quella di sapere se il loro bambino sarà sano.

L’amniocentesi è una di quelle indagini parentali invasive che indagano la struttura del DNA per individuare eventuali disfunzioni che pregiudicheranno poi la vita del bambino.

Cosa?
Prima di effettuare l’esame vero e proprio la paziente sarà sottoposta a una ecografia per rivelare età del feto e quantità di liquido amniotico (le cosiddette “acque” che circondano il feto durante la gravidanza), dopodichè verranno prelevati circa 20 ml di liquido tramite una puntura nell’addome della mamma.

Solitamente non viene somministrata anestesia e la mamma può tornare a casa immediatamente, anche se i medici consigliano un periodo di 24-48 ore di controllo della temperatura corporea.
I rischi maggiori sono legati a una possibile infezione del liquido amniotico, una sua eccessiva perdita o, nei casi più gravi all’aborto (le percentuali sono comunque bassissime, l’amnioocentesi determina un aborto in un caso su 100-200).

Quando?

Secondo il periodo di gravidanza in cui viene effettuato si distinguono amniocentesi precoce (tra la 16° e la 18° settimana) o tardiva (dopo la 20° settimana).

Dove?
Il prelievo del liquido amniotico è un intervento invasivo e molto delicato, per questo manualità ed esperienza sono determinanti e da tenere in grande considerazione.
Dopo un serio consulto con il proprio medico curante, è importante cercare una struttura specializzata , pubblica o privata, per non incorrere in pericolosi inconvenienti.

Perché?
L'esame viene proposto per indagare eventuali anomalie cromosomiche a quelle pazienti che:

hanno superato i 35 anni (38 anni in Francia), soprattutto per i rischi collegati alla Trisomia 21 (sindrome di down). • hanno visto aumentare lo spessore della translucenza nucale • hanno individuato difetti fetali strutturali attraverso l’ecografia • hanno avuto già figli affetti da anomalia cromosomica • hanno genitori portatori di alterazioni cromosomiche • hanno contratto malattie infettive (citomegalovirus, parvovirus B19...) • hanno registrato infiammazioni dell’utero

Nell’amniocentesi i parametri considerati sono legati ai livelli di:
creatinina: riflette lo sviluppo e funzionalità del rene;
bilirubina: per segnalare anemie o incompatibilità di gruppi sanguinei;
lecitina/sfingomielina: questo rapporto indica lo sviluppo corretto dei polmoni e, soprattutto in caso di parti precoci, la capacità del bambino di poter respirare autonomamente.
• alcuni ormoni steroidei: a seconda del tipo di ormone si può valutare lo stato complessivo di sviluppo di feto o placenta.

Infine come già detto viene eseguito l’esame delle cellule sospese nel per indagini citogenetiche sulla struttura del DNA o per rilevare eventuali anomalie metaboliche ereditarie.

Chi?
L’invasività e i rischi, benché minimi, legati all’amniocentesi, lo rendono un esame fuori dalla routine, a differenza dell’ecografia, ma che deve essere preso in considerazione in base alle condizioni della madre.


Il rapporto medico-paziente è, come sempre, fondamentale.
Il medico dovrà, prima di tutto, informare correttamente la paziente su l’opportunità o meno di svolgere l’esame, illustrandone le modalità d’esecuzione, i rischi e i benefici, sia in generale, considerando le statistiche, sia, e soprattutto, valutando il caso specifico della singola paziente.
Dovrà poi aiutarla a superare alcuni luoghi comuni, come quelli legati all’età o ai rischi.

Dopo i 35 anni l’amniocentesi non è, comunque, obbligatoria e quelle legate alle percentuali di rischio, non valutabili in assoluto, ma solo caso per caso.

Sarà dunque ciascun medico in rapporto a ciascuna paziente a valutare come e dove effettuare l’esame, assicurando la massima assistenza prima e dopo l’esame stesso e indirizzando, laddove possibile, la paziente vero la struttura più idonea e sicura.

mercoledì 25 marzo 2009

È primavera e con il Trio Chicco Scoop cominciano le novità su Bimbomarket!


È davvero arrivata la bella stagione e da Bimbomarket cominciano le novità in esclusiva per i suoi amici e clienti: in anteprima online il Trio Chicco Scoop!

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Toxoplasmosi in gravidanza: sintomi, cura, prevenzione.

La toxoplasmosi è una malattia causata dal parassita Toxoplasma Gondii, che compie il suo ciclo vitale all'interno delle cellule; vive soprattutto nel tratto intestinale del gatto, il quale si infetta cibandosi di carne cruda e di piccoli roditori.
E’ per questo motivo che nel gatto il parassita trova terreno fertile per la riproduzione, in quanto nel suo intestino il Toxoplasma svolge il suo ciclo di riproduzione sessuata.
Successivamente le ovocisti, le cellule uovo molto resistenti, vengono emesse con le feci del gatto e possono essere ingerite da un altro animale o rarissimamente dall'uomo tramite vie intermedie.
Nell'uomo, infatti, la toxoplasmosi viene trasmessa principalmente per via orale mediante cibi poco cotti o carni crude contenenti le ovocisti.

Come si può contrarre?

La toxoplasmosi può essere contratta dall’uomo principalmente in 3 modi:
- come già accennato, toccando o venendo a contatto in modo indiretto con le feci infette del gatto
- mangiando carne contaminata cruda o non cotta bene
- mangiando cibi crudi, frutta non lavata o verdure che sono state contaminate dal concime

Sebbene l’infezione normalmente non si diffonda da persona a persona, ad eccezione della gravidanza, in rari casi la toxoplasmosi può essere trasmessa attraverso trasfusioni di sangue o organi donati per trapianto.

Toxoplasmosi durante la gravidanza

Nel caso di donne in gravidanza, la toxoplasmosi è altamente pericolosa.
La malattia, infatti, può essere trasmessa al feto per via transplacentare, interessando encefalo, occhi, fegato, milza e linfonodi. Le conseguenze possono essere l'aborto, la morte del feto in utero o poco dopo la nascita. È per questi motivi che viene altamente consigliato il Toxo Test, il quale infatti rientra nei test di routine della gravidanza.
Questo test ha la funzione di rilevare la presenza degli anticorpi nel sangue della gestante: se sono presenti, significa che la futura mamma ha già contratto in passato la malattia e di conseguenza il rischio per il nascituro è nullo. Nel caso contrario, però, esso deve essere ripetuto ogni mese della gravidanza per identificare con assoluta tempestività il possibile contagio e ridurre al minimo i danni per il feto.

Sintomi e rischi per il bambino

L’infezione nella madre è generalmente asintomatica; in caso contrario, la manifestazione più comune è data dall’ingrossamento dei linfonodi, senza febbre, accompagnata da spossatezza e cefalea.
Il neonato colpito da toxoplasmosi, invece, alla nascita presenterà sintomi caratterizzati principalmente da disturbi alla vista e calcificazioni intracraniche.

Il rischio di infezione del parassita da madre a figlio, varia a seconda del momento in cui la madre si ammala. In particolar modo, le probabilità sono più elevate man mano che la gravidanza si avvicina al termine, mentre sono quasi nulle durante le prime settimane. Se, però, quest’ultimo caso dovesse verificarsi, c’è il rischio che il bambino possa subire gravi danni, come ad esempio lesioni neurologiche o addirittura aborto spontaneo.
Nel terzo trimestre di gravidanza la malattia si trasmette con più facilità ma nella maggior parte dei casi senza alcuna conseguenza.
Quindi più la gravidanza si avvicina al termine, più i rischi di contagio al bambino aumentano ma la probabilità che l'infezione provochi danni al piccolo diminuiscono vertiginosamente.

Infine va comunque precisato che il 90% circa dei bambini contagiati, non manifesta sintomi evidenti al momento della nascita. Ricordiamo, però, che per quanto asintomatici alla nascita, la maggior parte dei bambini infetti che non sono stati curati tempestivamente, svilupperà solo in un secondo momento alcune manifestazioni della malattia, come ad esempio ritardo mentale, epilessia, diminuzione dell’udito, ridotta capacità visiva o cecità. Per questo motivo è consigliabile effettuare periodicamente dei controlli clinici fino all’età scolare

Come curare la toxoplasmosi?

La terapia materna contro la toxoplasmosi riduce fino al 60% la trasmissione fetale.
Nel caso di infezione in atto o di sospetta infezione materna, è prevista la somministrazione di un antibiotico per ridurre il rischio di danni al feto, la spiramicina, fino all’esclusione dell’infezione o fino al momento del parto. Questo antibiotico non ha effetti collaterali per il feto.
In alternativa si può assumere anche un altro farmaco, ovvero la pirimetamina associata all’acido folinico da assumere per 20-30 giorni, intervallati da 15 giorni di sospensione.

Per il trattamento del neonato affetto da toxoplasmosi sono proposti diverse soluzioni terapeutiche, tutte altamente efficaci, per questo vi consigliamo di rivolgervi al vostro medico di fiducia che saprà indicarvi la terapia più adatta per il vostro bambino.

Prevenzione

Sfortunatamente, al giorno d’oggi, non esiste ancora un vaccino contro la toxoplasmosi.
Esistono, però, una serie di comportamenti e di pratiche che possono ridurre moltissimo il rischio di contrarre questa pericolosa malattia. Scopriamo nel dettaglio quali sono:

- cuocere bene la carne
- cercare di bere sempre acqua depurata
- lavare le mani con acqua e sapone dopo aver toccato cibi crudi o verdure non lavate
- lavare bene la frutta e la verdura prima di servirla, se possibile sbucciarla
- congelare la carne per qualche giorno prima di cucinarla
- lavare accuratamente dopo ogni uso i taglieri, gli altri utensili e le superfici della cucina (soprattutto quelle che vengono a contatto con la carne cruda) con acqua calda saponata
- se si possiede un gatto, farlo uscire il meno possibile ed evitare di dargli da mangiare carne cruda
- non avvicinarsi ai gatti randagi
- se appassionate di giardinaggio, indossare sempre i guanti e lavarsi accuratamente le mani subito dopo, anche se sarebbe consigliabile non praticare questo tipo di attività per tutto il periodo della gravidanza
- usare delle zanzariere per evitare che entrino in casa insetti che potrebbero essersi poggiato sulle feci dei gatti randagi

venerdì 20 marzo 2009

Vogliamo ancora le fiabe!


Un classico, come l’emozionante storia dei fratellini HÄNSEL E GRETEL e della loro avventura nel bosco e nella casetta di marzapane, oppure scoprire i mille insegnamenti sempre validi per tutti di una favola fantastica ed emozionante come Pinocchio e il suo paese dei balocchi.

A volte la tecnologia, il susseguirsi di giocattoli sempre più moderni, stimolanti e coloratissimi, pensati per i bambini di tutte le età, fanno perdere di vista le classiche storie, da raccontare, magari prima di andare a letto.

Le fiabe accendono la fantasia, propongono scenari sognanti in cui il bambino può vivere la storia e inventarne mille altre.

Così Bimbomarket in collaborazione con Sfera editore, ha deciso di proporre nel suo catalogo online tanti libri per ritrovare quel gusto di coccolare il proprio bimbo con mille favole fantastiche.

Per i più piccoli ci sono i “cucciolibri” tutti da afferrare e accarezzare mentre la mamma racconta le figure dei piccoli animali, oppure i libri e cd dei “bimbi in fiaba” mentre per i più grandi ci sono “i miei amici animali” per scoprire la natura che li circonda o i divertentissimi “cantalibri” per giocare e cantare tutte le canzoni per bambini.

Tra mille suoni, colori, giocattoli “iper”, riscoprire la magia delle fiabe può regalare ai bambini e ai loro genitori un’emozione tutta nuova.

Tra i libri di Sfera editore in vendita su Bimbomarket, ci sono anche gli utilissimi volumi della “Grande enciclopedia del bambino” per capire meglio e interpretare i piccoli segnali e comportamenti del nostro bambino, il cofanetto “le ricette per il mio bambino” contenente le migliori ricette suddivise per fasce d’età del bambino, dallo svezzamento fino ai 6 anni, ma comunque adatte a tutta la famiglia e quelli per prepararsi alla grande avventura della gravidanza, del parto e dei primi mesi.

mercoledì 18 marzo 2009

Gli esami da effettuare durante la gravidanza

Durante il periodo della gravidanza, è importante effettuare una serie di esami per monitorare l’andamento della gestazione e soprattutto per verificare la salute del feto e quella della madre.
Questi esami, infatti, forniscono il maggior numero possibile di informazioni sul feto stabilendo se sia sano geneticamente e, di conseguenza, rassicurano i genitori sulla buona salute del bambino che sta per nascere.
La maggior parte di queste analisi sono estremamente semplici e comportano pochi fastidi sia alla madre che al feto, per questo viene consigliato di effettuarli, anche perché sono in grado di rilevare e quindi di curare tempestivamente alcune patologie o addirittura diagnosticare l’eventuale presenza precoce di altre. Solamente per le donne che hanno superato i 35 anni o in casi particolari di familiarità inerenti a malattie cromosomiche, vengono prescritte in aggiunta delle analisi cromosomiche prenatali.

Prima della gravidanza

Quando si decide di avere un bambino, è consigliabile eseguire degli esami per verificare lo stato di salute generale oppure per riconoscere l'esistenza di eventuali patologie preesistenti alla gravidanza, come ad esempio l'anemia, il diabete od eventuali malattie infettive.
Esami del sangue: di base si effettuano emocromo, anticorpi e citomegalovirus, epatite B e C. Inoltre è necessario l’esame per stabilire il gruppo sanguigno e il fattore RH.
Esami ginecologici: sono utili per accertare l’assenza di malattie e malformazioni che potrebbero influenzare negativamente il decorso regolare della gravidanza (ad esempio malformazioni dell’utero, cistiti o fibroma).
Esame dell’HIV: è il test che dimostra la presenza nel sangue di anticorpi contro il virus dell'AIDS.
Rubeo test: rileva la presenza nel sangue di anticorpi contro la rosolia.
Toxo test: serve per accertare la presenza o meno di anticorpi contro la toxoplasmosi.

Durante il primo trimestre di gravidanza

Test di gravidanza: quelli attualmente presenti in commercio sono molto sensibili e sicuri, facili da usare e piuttosto attendibili. In caso di esito positivo, occorre fissare un appuntamento ginecologico per avere la conferma dell’avvenuta gravidanza.
In alternativa è possibile fare effettuare il test ad un Laboratorio di analisi, consegnando al laboratorio stesso un campione di urina.
Prima ecografia: rientra negli esami di routine della futura mamma, di conseguenza è esente da ticket. Va eseguita entro la 12° settimana per mezzo di una piccola sonda endovaginale a multifrequenza.
La prima ecografia è molto importante in quanto ha vari scopi, ovvero:
- controllare che il feto sia vivo
- accertare che la placenta sia inserita correttamente
- effettuare le prime misurazioni degli arti e la presenza degli organi vitali
- stabilire la data presunta del parto tramite la misura dell’embrione e controllando che le sue dimensioni corrispondano effettivamente alla data dell’ultima mestruazione indicata dalla gestante
- controllare che il battito cardiaco del feto sia regolare
- individuare l’eventuale presenza di gemelli
- stabilire che non si tratti di una gravidanza extrauterina
La prima ecografia, inoltre, nel 60% dei casi, consente di rivelare eventuali malformazioni cardiache e anomalie cromosomiche, anche se non è l’esame più preciso per questo genere di accertamenti.

In aggiunta agli esami di base appena descritti, è possibile effettuare ulteriori accertamenti facoltativi.

Translucenza nucale: permette di calcolare il rischio di anomalie cromosomiche del feto attraverso la misurazione ecografica della parte posteriore della nuca del bimbo. E’ un esame immediato e gratuito.
Duo-test: viene eseguito di solito in abbinamento all’esame della translucenza nucale ed ha lo scopo di accertare sempre a livello ‘probabilistico’ l’assenza di eventuali anomalie cromosomiche. Consiste in un prelievo del sangue privo di qualunque effetto collaterale per il feto.
Villocentesi: è un esame gratuito e consiste nel prelievo di frammenti di villi coriali, ovvero delle sottili protuberanze di tessuto placentare. Il prelievo viene effettuato inserendo un sottilissimo ago nell'utero attraverso la pancia della gestante. Anche questo esame permette di scoprire eventuali anomalie cromosomiche ed è consigliato per le donne al di sopra dei 35 anni.
Questo esame comporta un rischio di aborto spontaneo dell' 1-3%.

Durante il secondo trimestre di gravidanza

Analisi: almeno una volta nel corso del secondo trimestre vanno eseguiti emocromo, rubeo test, toxo test ed esame delle urine.
Seconda ecografia o "morfologica": viene effettuata tra la 19° e la 22° settimana e anche questa ha lo molteplici funzioni, infatti è indicata per:
- accertare il regolare sviluppo del feto tramite un’indagine su tutti gli organi del bambino per escludere eventuali malformazioni
- verificare la posizione della placenta nell’utero
- verificare la quantità di liquido amniotico
Inoltre, è in seguito a questo esame che i genitori che lo desiderano possono conoscere il sesso del piccolo.

In aggiunta agli esami di base appena descritti, è possibile effettuare ulteriori accertamenti facoltativi.

Amniocentesi: questo test consiste nel prelievo di una piccola quantità di liquido amniotico, il liquido in cui è immerso il feto, all’interno del quale sono presenti le cellule di sfaldamento, ossia le cellule che spontaneamente si staccano dal corpo del bambino, dalla pelle o dalle mucose.
Il prelievo viene effettuato inserendo un sottilissimo ago nell'utero attraverso la pancia della gestante; anche questo accertamento serve per escludere la possibilità di anomalie cromosomiche o malattie metaboliche. Dopo l’esame è bene riposarsi a letto per qualche ora e seguire le indicazioni fornite dal proprio medico curante
Come la villocentesi, comporta un rischio di aborto spontaneo dell' 0,5-1%.
Tritest o “ultra-screen”: è totalmente privo di rischio per il feto e consiste in un prelievo di sangue che consente di analizzare le sostanze emesse dal feto nella placenta.

Durante il terzo trimestre di gravidanza

Analisi: ripetizione di epatite B e C ed esami sulla coagulazione del sangue per eventuali anestesie al momento del parto.
Terza ecografia o "biometria": viene eseguita tra la 30° e la 32° settimana ed ha la funzione di confermare la regolare crescita del feto. Inoltre consente di studiare lo sviluppo del sistema nervoso centrale e degli organi fondamentali, come ad esempio il rene.
Tampone vaginale e urocultura: si effettua alla fine dell’ottavo mese per escludere al presenza di streptococco beta emolitico di gruppo B, un batterio che potrebbe contagiare il feto al momento della nascita. Se l'esame rileva la presenza dello streptococco (che di solito non dà alcun sintomo alla madre), si esegue una profilassi antibiotica alla donna durante il travaglio ed eventualmente al neonato.

Da evitare durante la gravidanza

Per evitare danni al feto, bisognerebbe non assumere farmaci soprattutto durante il primo e il terzo trimestre di gestazione ed inoltre non andrebbero mai fatte, salvo eccezioni per i casi particolari, le radiografie.
Per piccoli dolori, influenze, raffreddori, mal di denti, si può tranquillamente assumere il paracetamolo, una sostanza che, in piccole dosi, non presenta controindicazioni per le donne in dolce attesa.

martedì 17 marzo 2009

Acido Folico in gravidanza.

La vitamina B9, il nome comune dell’acido folico, è importantissima per lo sviluppo cellulare del bambino fin dai primi giorni, subito dopo il concepimento.

A cosa serve?

L’acido folico è essenziale per la sintesi del DNA, proprio durante il primo mese di gravidanza, poi, quest’elemento è fondamentale per assicurare il corretto sviluppo cellulare al feto e per prevenire l’anemia “magaloblastica” caratterizzata da globuli rossi che hanno meno emoglobina del normale, la sostanza che trasporta l’ossigeno a organi e tessuti.

Nelle prime 4-8 settimane di vita, inoltre, l’acido folico è importantissimo per il bambino in quanto previene i possibili difetti del DTN ovvero Tubo Neurale, che è la struttura da cui si formano il cranio, il cervello, la colonna vertebrale e il midollo spinale.

Cosa può portare la carenza di acido folico in gravidanza?

Per avere uno sviluppo normale nel feto, il processo di formazione e chiusura del tubo neurale, deve chiudersi entro i primi 30 giorni dal concepimento, se ciò non dovesse avvenire parte del cervello o del midollo spinale potrebbero rimanere scoperti provocando gravi malformazioni quali, a seconda dei casi, anecefalia, cefalocele, spina bifida.

Diversi studi hanno rivelato una stretta relazione, nella donna incinta, fra bassi livelli di acido folico nel sangue e presenza di difetti del Tubo Neurale (DTN) nel figlio.
Con questo termine si identificano delle malformazioni del sistema nervoso centrale dell'embrione in sviluppo.

Cosa può fare la mamma?

La futura mamma può contribuire ad assicurarsi il corretto fabbisogno giornaliero di questo importantissimo elemento, attraverso dei semplici comportamenti alimentari e l’assunzione di alcuni integratori.

L’organismo umano non produce la vitamina B9, pertanto deve essere la donna, attraverso una dieta ricca ed equilibrata e, soprattutto in gravidanza, con integratori a soddisfare il bisogno giornaliero di vitamina B9.
Il feto consumerà l’acido folico presente nell’organismo della madre, pertanto questa dovrà assicurare un apporto giornaliero fino a 0.8 mg.

La dieta mediterranea permette, solitamente, un corretto apporto di vitamina B9 che nei periodi di gravidanza può essere affiancata da integratori (con la dovuta attenzione, durante tutta la gravidanza, qualsiasi tipo di integrazione o apporto di sostanze và eseguito sotto stretto controllo medico: il rischio di eccesso di vitamine, specie la A che potrebbe portare a delle malformazioni,è sempre in agguato!).

I cibi quali le verdure a foglia verde (spinaci, broccoli, asparagi, lattuga), le arance (polpa e succo), i legumi, i cereali, frutta: limoni, kiwi e fragole, e il fegato sono davvero ricchi di questa vitamina.
Anche per il cibo, però, vanno tenute alcune accortezze per massimizzare il risultato, ovvero non esporre le verdure ai raggi solari o non consumare le verdure cotte o troppo cotte rischiando di perdere quasi completamente il valore nutrizionale e energetico.

Dunque, ancora una volta, si può constatare come durante quel meraviglioso periodo che è la gravidanza, ogni donna può iniziare da subito a curarsi del suo neonato.
Attraverso piccole accortezze, comportamenti naturali e tutto quanto la natura fornisce all’uomo, si può davvero trovare l’equilibrio che aiuterà il bambino a un corretto e sano sviluppo, prima fisico, poi psicologico!

mercoledì 11 marzo 2009

Insonnia del bambino: perché il mio bambino non riesce ad addormentarsi?

Il bambino, nei primi mesi di vita, ha una percezione del sonno-veglia decisamente diversa rispetto a quella dell’adulto, in quanto non conosce ancora la differenza fra il giorno e la notte.
Il suo ritmo, infatti, è indipendente dall’ambiente ma è regolato dalle sue esigenze primarie come la fame e la sete. Di conseguenza, per i primi mesi, la mamma dovrà cercare di adattare i propri ritmi a quelli del piccolo.
Solamente più avanti, verso il quinto mese, il bambino inizierà ad adattarsi progressivamente ai ritmi esterni e a regolari abitudini che lo aiuteranno a concentrare il sonno nelle ore notturne.

Durante l’infanzia, però, può accadere che il neonato presenti difficoltà ad addormentarsi oppure abbia continui risvegli notturni. Questo accade perché nel lattante il sonno è un processo in evoluzione, perciò è molto facile che durante i primi mesi venga colpito da insonnia.

L’insonnia è un fenomeno molto diffuso fra i neonati. Generalmente si manifesta con l’incapacità del bambino ad addormentarsi o riaddormentarsi in maniera autonoma. La maggior parte dei problemi legati all’insonnia sono transitori e tendono a risolversi spontaneamente con il passare del tempo.
In questa situazione, cercate di non lasciarvi prendere dal panico o dall’angoscia e provate a comprendere le cause che portano il neonato a svegliarsi durante la notte, ma soprattutto sarà vostro compito rassicurarlo con comportamenti ed atteggiamenti che non lo facciano ulteriormente agitare.

Come si manifesta?

L’insonnia del neonato viene diagnosticata quando compare per almeno tre notti a settimana uno dei seguenti sintomi:

- difficoltà ad addormentarsi per un tempo indicativamente maggiore di 45 minuti
- risvegli multipli con oltre 30 minuti necessari per riaddormentarsi
- risvegli precoci

Esistono due tipi di insonnia: quella agitata e quella calma.
Nel primo caso il piccolo non riesce a stare fermo e si muove costantemente, mentre nel secondo caso è praticamente immobile con gli occhi aperti. Proprio quest’ultima tipologia è anche quella più grave, in quanto può nascondere una probabile malattia a livello psichico.

Quali possono essere le cause?

Durante il primo anno di età, non esiste un’unica causa da attribuire a questo disturbo, infatti possono essere molteplici, da fattori genetici a problemi di relazione bambino-genitori, da cause organiche a problemi psicosociali. Vediamo nel dettaglio le varie ipotesi:

- il neonato ha assunto cibo e bevande in quantità eccessive durante la notte: di conseguenza l’addormentamento iniziale e successivo ai risvegli notturni avviene solamente in associazione con eccessiva quantità di liquidi o di alimenti.

- piccole coliche durante i primi mesi di vita: l’insorgenza delle coliche potrebbe portare ad una disfunzione dei processi di maturazione del ritmo sonno-veglia; inoltre, nel periodo subito dopo la colica, si potrebbe instaurare un disturbo del sonno caratterizzato da risvegli multipli nel corso della notte oppure con riduzione della durata totale del sonno. Questo avviene in quanto questi bambini durante i primi mesi, sono facilmente irritabili e sensibili ai cambiamenti dell’orario di addormentamento, di conseguenza è importante praticare una corretta igiene del sonno

- disturbi di inizio del sonno per associazione: può accadere che il bambino associ il momento appena prima di addormentarsi a rituali fissi (presenza della mamma insieme a lui, una ninna nanna, una carezza), per questo se durante la notte si dovesse risvegliare e non ritrovare le stesse condizioni presenti al momento precedente dell’addormentamento, è improbabile che riuscirà a prendere nuovamente sonno

- allergia: il neonato potrebbe essere allergico alle proteine del latte o ad altri sostanze allergene alimentari. La sintomatologia è simile a quella delle coliche, con la differenza che scompare con la semplice rimozione dell’alimento

- lo stato emotivo della madre: madre e figlio vivono un rapporto simbiotico, quindi se la mamma sta vivendo un conflitto interiore, oppure non è serena, il piccolo se ne accorge e durante la notte non riuscirà a dormire serenamente. La mamma dovrà quindi agire in base a ciò che è meglio per lei, che di conseguenza sarà anche ciò che è meglio per il suo piccolo

- il caos: è probabile che il disordine e la confusione creata da troppe persone che si trovano in casa, oppure i continui spostamenti ai quali il bambino viene sottoposto, lo agitino a tal punto da non renderlo tranquillo

Cosa (non) fare?

Innanzitutto è importante conoscere i principi basilari di igiene del sonno dell’infanzia e soprattutto quali sono le comuni abitudini scorrette che possono instaurare o cronicizzare un problema di insonnia nei bambini, come ad esempio:

- cullarlo in braccio finché non si addormenta
- fargli il bagnetto prima di andare a letto, in quanto nel piccolo è uno stimolo eccitante
- somministrare tisane o camomilla prima di farlo dormire
- dare da bere o allattarlo durante l’addormentamento

Per migliorare il sonno del bambino spesso è sufficiente intervenire su queste abitudini di vita e sui fattori ambientali (il rumore, la temperatura e la luce nella stanza, ecc.), applicando i principi di igiene del sonno, ovvero:

- aiutare il bambino ad associare il sonno con il suo lettino
- mantenere costanti gli orari di addormentamento e risveglio
- mandare il bambino a dormire già sazio

In rari casi, può succedere però che il disturbo persista; in questi casi è opportuno prendere nota di qualsiasi comportamento insolito nel piccolo o dei cambiamenti che possono derivare dalla mancanza di sonno e parlarne con il pediatra o medico che saprà dare i giusti consigli.

martedì 10 marzo 2009

Ittero neonatale: quando (non) preoccuparsi?


L’ittero è una patologia molto diffusa tra i neonati, si osserva nel 60% circa dei nati a “termine” e fino all’80% di quelli prematuri. Per la sua diffusione l’ittero può essere considerato fisiologico e mamme e papà possono stare tranquilli se scompare entro i dieci- quindici giorni dalla nascita. In questo arco di tempo, infatti, anche grazie alla fototerapia praticata di solito presso le strutture ospedaliere, si perde la caratteristica colorazione giallastra della pelle (ma spesso anche della sclera, ovvero la parte bianca dell’occhio, delle unghie o della lingua).

Ma in fondo che cos’è e cosa provoca l’ittero neonatale?


Nel corpo di un neonato la presenza di globuli rossi è proporzionalmente maggiore rispetto a quella dell’adulto e quindi c’è un tasso di distruzione dei globuli stessi, proprio nel primo periodo di vita, molto elevato.
Questo processo, che nella pancia veniva effettuato attraverso la placenta della mamma, porta alla produzione di bilirubina.
E’ proprio la bilirubina che, prodotta in eccesso e non correttamente e tempestivamente smaltita dal fegato del neonato, non ancora del tutto efficiente, a provocare l’ittero.


Quando l’ittero è fisiologico e si può stare abbastanza tranquilli?


L’ittero neonatale può essere detto fisiologico e non preoccupare eccessivamente i neo-genitori quando:
• non comincia nel primo giorno di vita; • i livelli di bilirubina non crescono eccessivamente da un giorno all’altro; • la bilirubina che si accumula è quella “indiretta” ovvero non ancora passata dal fegato; • la bilirubina, in generale, non supera livelli pari al 12-15 mg/dl; • dura al massimo tra i 10 e i 15 giorni.

Come si cura?

I sintomi dell’ittero fisiologico scompaiono, come detto, entro le prime settimane di vita, in ospedale, spesso, viene praticata una fototerapia, ovvero l’esposizione del bambino a una luce che riproduce gli effetti della luce solare, che trasforma la bilirubina in sostanze eliminabili dalle urine.


Esiste anche un altro tipo di ittero, tipico nel neonato, ma meno diffuso: l’ittero da latte, che scompare sospendendo momentaneamente l’allattamento al seno.
Questo tipo di ittero è causato da un ormone presente nel latte materno che fa aumentare la produzione di bilirubina. Data l’importanza dell’allattamento, se questi stessi valori non diventano troppo alti, solitamente non viene consigliata la sospensione dell’allattamento. Il colorito giallastro è quindi sintomo di una lieve patologia, l’ittero appunto, che però non deve preoccupare i genitori se rientra nei parametri e con le caratteristiche che abbiamo provato a illustrarvi.

Queste nostre considerazioni nascono da conversazioni, esperienze, scambi con esperti e mamme, ma che non possono essere esaustive di tutti i casi.
Ogni bambino è speciale e differente dall’altro e per la massima tranquillità è sempre meglio rivolgersi al proprio medico, che lo conoscerà e lo curerà nel tempo!

mercoledì 4 marzo 2009

Allattamento al seno: consigli e suggerimenti per un dolcissimo momento!

L’allattamento al seno è il gesto più naturale e spontaneo per una mamma, in quanto sarà proprio il suo istinto a guidarla nella direzione giusta.
Allattare il proprio bambino è importantissimo, poiché gli assicurerà tutto ciò di cui ha bisogno per nutrirsi, difendersi da germi e batteri e soprattutto lo aiuterà a crescere seguendo un corretto sviluppo fisico, mentale, sociale ed emotivo.

Tutte le donne, salvo eccezioni particolari, possono allattare il loro bambino per almeno 4/6 mesi e, se lo desiderano, possono continuare finché il piccolo lo richiede, integrando al latte materno un’adeguata alimentazione solida.
Idealmente si inizia ad allattare già in sala parto e comunque è importante farlo entro le prime ore dalla nascita per stimolare la montata lattea e soprattutto per far assumere al bambino il colostro, liquido ricco di nutrienti particolari ed anticorpi.

Le regole generali

Relax: durante l’allattamento è importante essere rilassate e riposate, soprattutto nelle prime settimane dopo il parto; per questo, se possibile, richiedete l’aiuto del vostro compagno o di familiari.

Comodità: sia la mamma che il piccolo devono cercare di essere sempre comodi e rilassati, questo perché qualsiasi sia la posizione scelta durante l’allattamento, vi porterà a tenere il bambino vicino al seno per molto tempo. La comodità, quindi, è fondamentale! Inoltre ricordatevi sempre si proteggere schiena, braccia e gambe con adeguati sostegni, come ad esempio cuscini, poggiapiedi o braccioli.

Coccole: a volte può succedere che il bambino abbia sonno o magari sia un po’ agitato per vivere il momento dell’allattamento con il giusto relax. Per risvegliare il suo appetito, provate a coccolarlo con dolci carezze, vedrete che si calmerà e tornerà a mangiare serenamente.

Igiene del seno: un altro fattore importantissimo è mantenere il seno ben pulito, sia per evitare di trasmettere infezioni al bambino, sia per prevenire le ragadi. Per l’igiene locale, dal momento che il latte ha già un sufficiente potere antibatterico, vi basterà detergere il seno con semplice acqua e sapone ed asciugare poi delicatamente, senza usare salviettine intrise di detergenti intimi che tendono a rimuovere i grassi naturali della pelle e ad interferire con l’orientamento olfattivo del bambino verso la fonte del nutrimento.

Scegliere la posizione giusta

Si può allattare in diversi modi, ogni mamma piano piano troverà la sua posizione ideale.

Da sedute: scegliete una sedia, un divano o una poltrona, l’importante è che la vostra schiena sia sempre ben dritta. Adagiate il piccolo sul braccio, facendo in modo che la sua testa appoggi sulla piega del gomito in modo tale che non sia costretto a girare la testa per arrivare al seno. Infine assicuratevi che la sua schiena e la sua testa siano allineate.

Da sdraiate: se preferite mantenere una posizione sdraiata perché vi sentite affaticate oppure sentite dolore, per esempio, a causa dei punti di sutura in caso di parto cesareo, mettetevi sul letto distese sul fianco con l’aiuto di qualche cuscino. Fate sdraiare il bambino sul fianco e rivolto verso di voi, con la bocca all’altezza del capezzolo e sostenendolo.

Posizione "rugby": questa posizione, meno diffusa ma particolarmente indicata in caso di ingorgo mammario, è così chiamata perché il corpo del bambino viene tenuto sotto l'ascella della mamma con un braccio, mentre il capo è sostenuto con l'altra mano, proprio come un pallone da rugby.

Qualsiasi sia la posizione scelta, ricordatevi sempre di:
- tenere il bambino in una posizione laterale, rivolto con il suo pancino verso il vostro petto o la pancia;
- far in modo che il suo nasino sia all’altezza del capezzolo;
- sorreggere sempre la schiena del bambino e non la sua testa, per non tenerla bloccata in alcuna posizione;
- tenere il bambino molto vicino a voi, in modo che non debba aggrapparsi con la bocca al capezzolo rischiando quindi di danneggiarlo.

L’attaccamento al seno

Una volta trovata la posizione più adatta a voi, portate il piccolo al seno e mai viceversa: infatti, quando avrà la percezione del capezzolo vicino al suo viso, gli verrà naturale attaccarsi all’areola.
Offrite il seno al bambino tenendo il dito indice al di sopra dell'areola, in modo da impedire che la mammella poggi contro il suo naso, ed il dito medio al di sotto, in modo da far protendere maggiormente il capezzolo.

Durante l’allattamento, ricordatevi di non utilizzate gli stessi movimenti dell’allattamento al biberon, in quanto rischiereste di aumentare la difficoltà del vostro bambino di aggrapparsi alla mammella. Inoltre, non preoccupatevi di tenere il nasino del piccolo libero, poiché se è ben posizionato, vedrete che respirerà senza fatica; infatti, se userete le mani con lo scopo di aiutarlo a respirare, si rischia di modificare la forma del seno e diminuire quindi la sua presa.

Infine, per capire se il vostro bambino è attaccato al seno in modo corretto, possiamo suggerirvi alcuni piccoli accorgimenti:
- il suo naso e il suo mento toccano il seno
- la sua mascella si muove fino all’orecchio
- la sua bocca è ben aperta e ha le labbra rovesciate in fuori senza succhiarsi il labbro inferiore
- tra le labbra del bambino ed il vostro seno, si intravede la sua lingua
- il piccolo comprime leggermente l’areola senza fare sforzo con le labbra e la bocca
- non provate dolore

Ad ogni pasto, attaccate il bambino ad entrambe le mammelle, iniziando dal lato che è stato utilizzato per ultimo nella precedente poppata, per circa 10-15 minuti da un seno e 10-15 minuti dall’altro.

Quando allattare e quante volte?

I neonati, nelle prime 24 ore di solito, dormono moltissimo e mangiano poco, anche solo 2 o 3 volte; solo tra le 24 e le 72 ore di vita iniziano a sentire fame più frequentemente e talvolta può capitare che mangino anche 13 volte al giorno!
Se il bimbo chiede spesso il latte, è perché ne ha bisogno e non per vizio. Inoltre, l’elevata frequenza delle poppate nei primi giorni di vita consente non solo a madre e figlio di attuare un’utile pratica in attesa della montata lattea, ma anche di anticipare quest’ultima di 12-24 ore: la suzione, infatti, è il più potente stimolo alla produzione di latte.

Il numero delle poppate non deve essere rigido: all’inizio, infatti, si consiglia indicativamente di allattare il bambino a richiesta, circa 6-7 volte al giorno nella prima settimana per poi arrivare a 5-6 volte dal primo al terzo mese con intervallo notturno per concedere un sufficiente riposo alla madre.
Infine, ricordatevi sempre che orari e quantità vengono spesso stabiliti dal bambino in grado di autoregolarsi in base ai suoi bisogni ed alle sue necessità.

martedì 3 marzo 2009

Dieta e allattamento: un legame imprescindibile!

L’importanza dell’allattamento al seno è una delle recenti ri-scoperte di mamme e pediatri, che sottolineano quanto questa pratica abbia notevoli risvolti sulla salute e sull’equilibrio psico-fisico di neonati e bambini.
L’allattamento al seno permette il passaggio di tutti i principi nutritivi, necessari alla crescita sana ed equilibrata del bambino, e di tutti quegli anticorpi fondamentali per la costruzione di un sistema immunitario forte e completo.

Il latte materno è direttamente collegato, aldilà delle credenze popolari, al nutrimento della mamma, ed è per questo che non si può prescindere da una corretta, sana ed equilibrata alimentazione.

Il fabbisogno energetico
Dobbiamo ricordarci che una donna che allatta, inevitabilmente, richiede un fabbisogno energetico maggiorato proporzionalmente alla quantità di latte prodotto.
Il valore energetico medio del latte umano è di 65-70 kcal/100 g. e quindi mediamente si può affermare che una donna che allatta richieda almeno 500 kcal in più rispetto ad una donna che non allatta.

Non è (sempre) vero che
Parlando di alimentazione e allattamento, per iniziare si possono sfatare alcuni luoghi comuni che rischiano, quando non danneggiano mamma e bambino, di accrescere lo stato ansioso attorno a questa naturalissima pratica.
Insomma, non è vero che:
occorre che la madre si preoccupi di bere oltre la sete che sente, infatti, il rene della madre è capace di risparmiare acqua, riducendone il volume emesso con le urine
vi sono alimenti che «sciupano» il latte, alcuni, in realtà possono dare un «sapore» diverso al latte, abituando così il bambino a diversi sapori, che il bambino potrebbe anche apprezzare.
esistono alimenti che «fanno latte», è il mangiare correttamente che fa lavorare bene la ghiandola mammaria. Inutile quindi, bere grandi quantità di latte o di birra (in questo caso bisogna non sottovalutare il suo contenuto alcolico, realmente dannoso per mamma e bambino)
se non si seguono orari rigidi si rischia di dare cattive abitudini o di danneggiare lo stomaco del bambino.
il bambino non sappia regolarsi da solo
se il bambino non fa il ruttino, è segno che non ha digerito (il ruttino è solo il rumore della fuoriuscita dell'aria nello stomaco, non ha niente a che vedere con la digestione!)

Di cosa si dovrebbe limitare o evitare l’assunzione?
Sfatati i luoghi comuni e ribadito il fatto che una dieta equilibrata e variata va bene non solo durante l’allattamento ma sempre nella vita di ogni individuo, in questo particolare periodo si può dedicare maggiore attenzione ad alcuni alimenti evitandone altri.

spezie e aromi particolarmente forti, in maniera continuativa, oppure aglio, acciughe, ketchup, asparagi, cipolle, curry, gorgonzola, peperoni, zenzero e spezie piccanti, possono conferire un sapore altrettanto forte al latte che potrebbe infastidire il piccolo allontanandolo e limitando la “voglia” di assumerne.
alcuni tipi di carne insaccata e selvaggina, crostacei e molluschi, uova o carne conservata (spesso ricca di nitriti e nitrati, potenzialmente pericolosi per il bambino) dovrebbero essere assunti con moderazione.
fagioli, frullati, lieviti e latticini o le bevande gasate (da evitare anche perché spesso contengono caffeina o altri eccitanti che danneggiano il neonato) per evitare la formazione di gas nello stomaco che provoca le famose “coliche” dei piccoli.

Per evitare possibili reazioni allergiche (specie se in famiglia ci sono già persone sensibili) andrebbero evitati:
• fragole, agrumi, banane, ananas, lamponi, avocado • pomodori, spinaci, fecola di patate • arachidi, noci, nocciole, mandorle • fave, piselli, ceci, lenticchie, fagioli • albume, formaggi, yogurt, lievito di birra • cioccolato, insaccati, alimenti in scatola, dadi per brodo • crostacei, frutti di mare, pesce conservato

Ma allora cosa si mangia?
L’allattamento deve prevedere, come detto, un aumento dell’apporto nutrizionale nella dieta
della mamma, dunque, fatta memoria degli alimenti da evitare, non occorre lesinare in proteine, carboidrati fibre e vitamine!
latte e latticini saranno fondamentali per l’apporto di calcio, fosforo e vitamina A.
pesce, uova (laddove non ci siano allergie particolari) e carne contribuiranno invece a coprire il fabbisogno di acidi grassi ed amminoacidi essenziali, ferro, minerali e alcune vitamine.
frutta, verdura, legumi e cereali contribuiranno, infine, a completare il quadro nutrizionale, soddisfacendo le richieste di fibre, vitamine e oligoelementi.

Maggiore attenzione agli zuccheri ricchi di calorie, ma non di valori nutrizionali.
Alimenti freschi o surgelati, ma preparati con metodi di cottura semplici evitando intingoli, fritture e grigliature (tanto più nocive quanto maggiori sono le parti carbonizzate dell’alimento) e condendo tutto con oli vegetali da consumare a crudo.

Infine anche se non è corretto sottoporsi a sforzi per apportare liquidi, l’assunzione di acqua a forte carica calcica è consigliata durante tutto il periodo della gravidanza e dell’allattamento, assumendo almeno 2 litri di acqua al giorno.

Una piccola notazione per incoraggiare e rincuorare le mamme nostrane: la dieta mediterranea, oltre a prevenire e proteggere da ipertensione, diabete, obesità e tumori, è indicata per le donne in gravidanza e durante l’allattamento per il suo forte apporto di minerali e vitamine.
Cereali, frutta, verdura e olio d’oliva che caratterizzano la dieta mediterranea, ricca di composti antiossidanti e di vitamine C ed E avrebbero, appunto, importanti effetti antinfiammatori sia per la mamma che per il nascituro anche nei confronti di allergie, riniti allergiche e asma.

Insomma, aldilà dei piccoli consigli qui riportati, durante la gravidanza, l’allattamento e la crescita dei nostri bambini, occorre ricordare che sono fondamentali tre cose: un costante controllo medico, senza per questo cadere in un’ansia ipocondriaca, il confronto con chi ha più esperienza, come altre mamme e l’istinto innato delle neo-mamme, che in virtù del loro speciale legame con il bambino riuscirà a valutare anche le reazioni legate al cibo e quindi ad adeguare la propria dieta.